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Troll norvegesi crescono: The Autopsy of Jane Doe

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Era il lontano 2011 quando proprio su questo sito recensimmo un bizzarro ma funzionale mockumentary dal titolo Trollhunter. Ve lo ricordate? Se non ve lo ricordate, sono qui apposta a mettervi un comodo link. Funziona così questa cosa di internet. Se tu schiacci sulla parola “link”, ti si apre un’altra pagina dove puoi leggere la recensione scritta all’epoca. Pazzesco, no? Pensa la comodità! Il futuro è alle porte! Incredibile, no?

TrollhunterMoviePoster

Il regista di Trollhunter è un signore norvegese di anni quarantaquattro anni che risponde al nome di André Øvredal. Il buon André, oltre al notevole Trollhunter, ha diretto un altro lungo, Future Murder, e due cortometraggi, Customer Support e Tunnelen, che non ho avuto la fortuna (e modo) di vedere. Ma il suo nome, dopo il piccolo caso Trollhunter, ha cominciato a circolare negli ambienti giusti. Nel 2014 gli è stata affidata la sceneggiatura del pilota della serie live action di Enormous, fumetto culto prodotto da Machinima, che prima o poi dovrebbe diventare una serie vera e propria coi soldoni della 20th Century Fox, e al momento è impegnato nella preproduzione di Mortal, un bizzarro action fantasy che avrà come protagonista Robert Sheehan, il ragazzino con la faccia da schiaffi protagonista delle prime stagioni (quelle belle) di Misfits. In attesa che il pazzo cash cominci a piovere, per provare a tutti che è l’uomo giusto, André ha trovato il tempo di fare il suo esordio dietro la macchina da presa negli Stati Uniti: ecco a voi The Autopsy of Jane Doe.

André "copia e incolla" Øvredal sul set

André “copia e incolla” Øvredal sul set

La sceneggiatura di questo piccolo film horror è dello sceneggiatore televisivo di lungo corso Ian B. Goldberg, uno che ha messo la sua forma su prodotti come Once – C’era Una VoltaTerminator: The Sarah Connor Chronicles e Criminal Minds: Suspect Behavior, e dal quasi esordiente Richard Naing. Il cast è di prim’ordine, con una grande coppia di protagonisti composta dal grande Brian Cox – arrivato a sostituire Martin Sheen, altrove impegnato – e dal simpatico Emile Hirsch. La storia è semplicissima e diretta, una di quelle che stanno sul lato di un tovaglionino da bar ma che nasconde mille sorprese: Tommy e Austin Tilden, rispettivamente padre (Cox) e figlio (Hirsch), sono due medici legali/impresari funebri/anatomopatologhi. Per dirla nel modo più semplici possibile, fanno le autopsie per conto della polizia, scoprendo le cause dei decessi dei cadaveri che ospitano sui lettini del loro scantinato. Sì, perché non so se avete mai visto Six Feet Under, la vecchia serie televisiva della HBO, ma negli Stati Uniti per i “becchini” funziona così: al piano di sopra ci vivi, al piano di sotto invece ci lavori. Che se uno ci si mette a riflettere per un secondo è una cosa da pazzi, non credete? Un biglietto omaggio per una corsa sull’autoscontro della pazzia. Invece, a quanto pare, per gli uomini della famiglia Tilden è tutto normale: hanno raggiunto quel distacco necessario che serve a non farti impazzire quando ti trovi ad aprire con una sega la gabbia toracica a un morto in cantina, per poi lavarti le mani e andare a dormire a pochi metri di distanza. E poi sono bravi in quelli che fanno, di loro ci si può fidare. Certo, hanno passato un brutto periodo ultimamente, quando è morta la signora Tilden, ma così è la vita, no?

Quel che resta dei Tilden al lavoro nello scantinato di casa

Una sera, una strana sera che sta per trasformarsi in una notte buia e tempestosa, i Tilden stanno per staccare, quando  arriva lo sceriffo. “Ragazzi, abbiamo un cadavere per voi. È una Jane Doe, cioè non sappiamo chi sia e non siamo riusciti a risalire alla sua identità, ma ci servono i risultati dell’autopsia il prima possibile. Lo so: è un duro lavoro ma qualcuno lo deve pur fare. E quel qualcuno siete voi. Ci vediamo domattina. Buonanotte”. E lo sceriffo prende quell’ascensore che dallo scantinato lo riporta in superficie per lasciare da soli i due, di notte, sottoterra, mentre fuori infuria la bufera, con il cadavere fresco di una bellissima ragazza (la bravissima Olwen Catherine Kelly) appoggiato su un freddo lettino di metallo. Ma, hey, è lavoro! Mettiamoci all’opera.

La bellissima Jane Doe

La bellissima Jane Doe

Un’autopsia è una vera e propria indagine deduttiva degna del miglior Auguste Dupin. Il corpo senza vita di una sconosciuta, apparentemente privo di segni di violenza, è la scintilla che mette in moto gli eventi. I Tilden cominciano a lavorare e a mano a mano che tagliano, aprono, segano, analizzano, cominciano a capire qualcosa in più del corpo che hanno davanti agli occhi. Qualcuno ha infierito sul corpo di quella ragazza: le ha spezzato le ossa del bacino, i piedi, l’hanno tenuta segregata al buio in una stanza fino a farla diventare cieca, le hanno segato la lingua e altre cosucce carine… Perché? Cosa nasconde quella sconosciuta? Chi è, da dove viene e com’è finita lì? Nel frattempo, al piano di sopra la tempesta infuria e nello scantinato cominciano a sentirsi degli strani e sospetti rumorini.

Quando la vita era più facile / e si potevano mangiare anche le fragole / e avevamo i cadaveri in cantinaaa

Quando la vita era più facile / e si potevano mangiare anche le fragole / e avevamo i cadaveri in cantinaaa

Non possiamo dire oltre di The Autopsy of Jane Doe per non rovinare la sorpresa a voi che state per vederlo. Possiamo però dire che è un buon film horror con delle ottime caratteristiche: la sceneggiatura, come detto, parte da una piccola idea, ha qualche asso nella manica ma soprattutto sa dove andare a parare. L’unità di tempo e di luogo – tutto in una notte in un’inquietante scantinato – aiuta. Non solo dal punto di vista economico, ma anche per quanto riguarda l’attenzione dello spettatore, che rimane incollato allo schermo dall’inizio alla fine del film. Gli effetti speciali poi non si risparmiano in sangue, gore e pugni nello stomaco e la storia “fantastica” può essere intesa come una buona metafora horror famigliare. Insomma, tutto bene? Mah. Insomma… Il problema del film di Øvredal è la parte centrale. Parte benissimo e finisce più o meno allo stesso modo, ma si ha come l’impressione che qualcosa nel mezzo del cammin della vita del cadavere sia stata fatta in maniera un po’ confusa. Alcune sequenze sembrano mancare di logica causa/effetto, sono montate male, non si capiscono. In alcuni momenti sembra quasi impossibile non pensare a delle difficoltà in fase di realizzazione del film, una produzione che ci ha messo ben tre anni a passare dalla carta al grande schermo. Parliamo di sbavature che non vanno ad intaccare il risultato finale, comunque sopra la media, e che finalmente ci fa mostra il talento del regista privo dalle costrizioni del mockumentary. Mi sono fatto un’idea (molto probabilmente sbagliata, eh): The Autopsy of Jane Doe è il risultato della regia e della messa in scena di un regista europeo sommato all’esigenza di un film americano destinato a qualche piccolo festival di genere o al mercato dell’home video. Se i produttori si fossero fidati di più di Øvredal e non avessero avuto la necessità di qualche bubu7te di troppo, forse avremmo avuto tra le mani una delle sorprese dell’anno. Ma non è andata così.  Peccato. Ma non ti preoccupare, André. Sappiamo aspettare.

Ah, a parte il fatto che è bellissima, veramente un plauso alla morta Olwen Catherine Kelly: un primo piano capace veramente di bucare lo schermo e una fisicità inquietante e invidiabile.

DVD-quote:

“Potevi essere quello che alla fine non sei stato. Ma è stato bello comunque. C.B.C.R.”
Casanova Wong Kar-Wai, i400Calci.com

>> IMDb Trailer


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